Arrival: la grande bufala

Va bene, non sono un intellettuale e certe cose non le capisco proprio, ma questo film è più pretenzioso di 2001: A Space Odyssey ("2001 Odissea nello spazio", 1968), più noioso di Solyaris ("Solaris", 1972), meno originale di Close Encounters of the Third Kind ("Incontri ravvicinati del terzo tipo", 1977) e meno comprensibile di Contact (1997). Per carità, l'idea è buona e gli attori eccellenti, a partire da Amy Adams (Louise Banks) e Jeremy Renner (Ian Donnelly) e di un Forest Whitaker in una limitata parte di contorno (Colonnello Weber), ma lo svolgimento è lento, zeppo di "flashback" o "visioni del futuro" oltre a lacune e assurdità incomprensibili.
Va bene: arrivano questi "baccelli" alieni e si sparpagliano in differenti parti del globo. Trump sarebbe lieto di sapere che gli americani sono gli unici abbastanza curiosi e intelligenti da entrare nel baccello/astronave e contattare i visitatori. Pare che nessun altro al mondo lo avesse fatto. E fin qui... va bene.
Cosa trovare di nuovo per descrivere un alieno? Ovvio: farlo diventare un enorme polipo che si esprime con grugniti e scrive con cerchi di inchiostro che fluttuano nell'etere. Interessante e curioso. Più curioso è il fatto che la linguista Louise si presenti agli alieni e non trovi modo migliore di comunicare dello scrivere con un pennarello su una lavagnetta e gli alieni, intelligenti, ma presuntuosi, capiscono gli scarabocchi in inglese, ma continuano a rispondere a cerchi di inchiostro.Un piccolo sforzo avrebbero potuto farlo; dopotutto abbiamo solo 26 lettere.
C'è il consueto contrasto fra militari aggressivi e cattivi e "pacifisti" buoni che cercano il dialogo: banalità sesquipedale.
Ovviamente non vi racconterò il resto dell'avventura - per altro abbastanza contorta - ma tutto questo "Sci-Fi" avrebbe come messaggio conclusivo il raggiungimento della pace nel mondo e lo scopo della vita. Bastava la dichiarazione di una reginetta di bellezza di Miss Congeniality ("Miss Detective", 2000).
Sarà che mal sopporto il minimalismo eccessivo e mi annoia la filosofia da quattro soldi, ma, a parte la professionalità degli attori, il film del canadese Denis Villeneuve non merita più di un 6.


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