Occhi che urlano

Nonostante la nostra gauche caviar (Champagne socialist, Limousine liberal, SalonkommunistRadical Chic, che dir si voglia), rimpianga il "maestro" Eisenstein e la sua stramaledetta corazzata, o, alternativamente (i più liberal) Chaplin e il suo "Tempi moderni (Modern Times, 1936) c'è' davvero in giro un film capolavoro del cinema muto. Ovviamente a mio modesto parere.
Il film, uscito nel 1928, è opera di Carl Theodor Dreyer (danese di Copenaghen, 1889-1968) che, nel 1928 girò "La passione di Giovanna d'Arco" (La Passion de Jeanne d'Arc). Il film fu "travagliato sin dal principio: Dreyer, che, inizialmente, voleva produrre una sorta di "kolossal" storico in costume e con scenografie elaborate, rivide tutto il suo lavoro e volle concentrarsi solo sugli aspetti umani della vicenda della "pulzella d'Orleans". Non sapremo mai cosa video i primi spettatori perché - quando si dice "sfigati" - l'originale andò bruciato in un incendio pochi anni dopo la prima rappresentazione.
Nel secondo dopoguerra venne ritrovata una copia del negativo originale (si pensa sia "originale") nel magazzino di un ospedale psichiatrico. Cosa ci facesse in un manicomio nessuno lo sa.
Comunque: il film venne, inizialmente, restaurato e musicato con brani di Vivaldi, Albinoni e scarlatti, ma, la "trasformazione" venne giudicata poco fedele all'originale inteso dal regista.
La Criterion Collection (i soliti "stupidi americani di New York") ha in catalogo la versione originale perfettamente restaurata e che può  essere vista con una colonna musicale (Voices of Light) o, ovviamente, muta. Per chi si accontentasse dello streaming della versione originale gratuita, può utilizzare archive.org per la versione muta non restaurata e con i "titoli" in francese. Anche questo sempre per "colpa" degli americani buzzurri e cowboy. Fine della polemica e fine del caviale.

 Se non fosse per la qualità della pellicola e per il formato (4:3) il film sarebbe potuto essere girato il mese scorso da un ottimo regista amante del bianco-e-nero. Non è semplicemente innovativo, è rivoluzionario. Negli anni in cui la macchina da presa si muoveva poco o nulla e quasi solo per panoramiche scontate e banali, Dreyer sperimenta carrellate, riprese da angolature impensabili, immagini dall'alto o rasoterra, particolari dei volti e degli occhi... in poche parole: un film superlativo che sarebbe il fiore all'occhiello di molti registucoli "impegnati" dei giorni nostri.
Come ho avuto modo di dire all'inizio di questo blog,  la recitazione, specialmente dell'italo-francese Maria Falconetti, sia un po' teatrale per le nostre consuetudini, i particolari degli sguardi, il fremito delle labbra, le lacrime... raccontano tutto ciò che colore e sonoro non erano in grado di raccontare. E, ancor oggi, non sono in grado di farlo.
Una parola? Un film "epico". Se amate il cinema, questo film è una potente lezione di cinematografia che non potete mancare.

Alla prossima.

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